martedì 13 gennaio 2015

S.Antonio, tra storia e cultura.





Sant' Antonio abate, detto anche sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta (Qumans, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 357), fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel loro calendario, al 22 del mese di Tuba.
La vita di Antonio abate è nota soprattutto attraverso la Vita Antonii pubblicata nel 357 circa, opera agiografica scritta da Atanasio, vescovo di Alessandria, che conobbe Antonio e fu da lui coadiuvato nella lotta contro l'Arianesimo. L'opera, tradotta in varie lingue, divenne popolare tanto in Oriente quanto in Occidente e diede un contributo importante all'affermazione degli ideali della vita monastica. Grande rilievo assume, nella Vita Antonii la descrizione della lotta di Antonio contro le tentazioni del demonio. Un significativo riferimento alla vita di Antonio si trova nella Vita Sancti Pauli primi eremitae scritta da san Girolamo negli anni 375-377. Vi si narra l'incontro, nel deserto della Tebaide, di Antonio con il più anziano Paolo di Tebe. Il resoconto dei rapporti tra i due santi (con l'episodio del corvo che porta loro un pane, affinché si sfamino, sino alla sepoltura del vecchissimo Paolo ad opera di Antonio) vennero poi ripresi anche nei resoconti medievali della vita dei santi, in primo luogo nella celebre Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Antonio nacque a Coma in Egitto (l'odierna Qumans) intorno al 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover seguire l'esortazione evangelica: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri"[1]. Così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella ad una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità.
Si racconta che ebbe una visione in cui un eremita come lui riempiva la giornata dividendo il tempo tra preghiera e l'intreccio di una corda. Da questo dedusse che, oltre alla preghiera, ci si doveva dedicare a un'attività concreta. Così ispirato condusse da solo una vita ritirata, dove i frutti del suo lavoro gli servivano per procurarsi il cibo e per fare carità. In questi primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime, dubbi lo assalivano sulla validità di questa vita solitaria. Consultando altri eremiti venne esortato a perseverare. Lo consigliarono di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma. In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio; senza sensi venne raccolto da persone che si recavano alla tomba per portagli del cibo e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise.
In seguito Antonio si spostò verso il Mar Rosso sul monte Pispir dove esisteva una fortezza romana abbandonata, con una fonte di acqua. Era il 285 e rimase in questo luogo per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all'anno. In questo luogo egli proseguì la sua ricerca di totale purificazione, pur essendo aspramente tormentato, secondo la leggenda, dal demonio.
Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e, abbattute le mura del fortino, liberarono Antonio dal suo rifugio. Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti operando, secondo tradizione, "guarigioni" e "liberazioni dal demonio".
Grotta in cui viveva Antonio, sul monte che domina il suo monastero.
Il gruppo dei seguaci di Antonio si divise in due comunità, una a oriente e l'altra a occidente del fiume Nilo. Questi Padri del deserto vivevano in grotte e anfratti, ma sempre sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale. Antonio contribuì all'espansione dell'anacoretismo in contrapposizione al cenobitismo.
Anche Ilarione visitò nel 307 Antonio, per avere consigli su come fondare una comunità monastica a Gaza, in Palestina, dove venne costruito il primo monastero della cristianità. Nel 311, durante la persecuzione dell'imperatore Massimino Daia, Antonio tornò ad Alessandria per sostenere e confortare i cristiani perseguitati. Non fu oggetto di persecuzioni personali. In quella occasione il suo amico Atanasio scrisse una lettera all'imperatore Costantino I per intercedere nei suoi confronti. Tornata la pace, pur restando sempre in contatto con Atanasio e sostenendolo nella lotta contro l'Arianesimo, visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide dove pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì, all'età di 105 anni, probabilmente nel 356. Venne sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto.
La storia della traslazione delle reliquie di sant'Antonio in Occidente si basa principalmente sulla ricostruzione elaborata nel XVI secolo da Aymar Falco, storico ufficiale dell'Ordine dei Canonici Antoniani.
Dopo il ritrovamento del luogo di sepoltura nel deserto egiziano, le reliquie sarebbero state prima traslate, nella città di Alessandria, nella metà del VI secolo – così come espresso da numerosi martirologi medievali che datano la traslazione al tempo di Giustiniano (527-565) –, poi, a seguito dell'occupazione araba dell'Egitto, sarebbero state portate a Costantinopoli attorno al 670. Successivamente, nell'XI secolo, il nobile francese Jaucelin, signore di Châteauneuf, nella diocesi di Vienne, le ottenne in dono dall'imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia nel Delfinato.
Qui il nobile Guigues de Didier fece poi costruire, nel villaggio di La Motte (in seguito Saint-Antoine), una chiesa che accolse le reliquie poste sotto la tutela del priorato benedettino che faceva capo all'abbazia di Montmajour (vicino ad Arles).
Nello stesso luogo si originò il primo nucleo di quello che poi divenne l'Ordine dei Canonici Ospedalieri Antoniani la cui vocazione originaria era quella dell'accoglienza dei malati di fuoco di sant'Antonio. L'afflusso di denaro proveniente dalla questua fece nascere forti contrasti tra il priorato e gli Ospedalieri. I primi furono costretti così ad andarsene per poi iniziare a sostenere, a partire dal XV secolo, di essere i veri possessori delle reliquie, sottratte durante la fuga agli antoniani, e quindi solennemente riposte ad Arles nella chiesa di Saint-Julien, di loro proprietà. Si creò quindi uno sdoppiamento del corpo del santo.
La tradizione che si riferisce alla traslazione delle reliquie di Antonio è in realtà molto complessa e le testimonianze più antiche identificano Jocelino come nipote di Guglielmo, colui che, parente di Carlomagno, dopo essere stato al suo fianco in diverse battaglie, si era ritirato a vita monastica e aveva fondato il monastero di Gellone (oggi Saint-Guilhelm-le-Désert).
Inoltre, se a partire dall'XI secolo inizia a svilupparsi il culto taumaturgico nella città di Saint-Antoine, attorno alle spoglie di Antonio, nello stesso periodo si origina la tradizione che narra della presenza di un altro corpo del santo all'interno dell'abbazia di Lézat (Lézat-sur-Léze). Quindi i corpi di Antonio, in Occidente, diventano tre, e tali rimarranno fino al XVIII secolo[2].
Per la prima volta nella storia, nel gennaio 2006, in occasione del Giubileo antoniano, le reliquie di sant'Antonio abate hanno lasciato la città di Arles (Francia). Dal 6 al 13 gennaio 2006 sono state ospitate nel Comune di Novoli in provincia di Lecce, comune che ne conserva la reliquia del braccio. Dal 13 al 17 gennaio 2006 sono state accolte sull'Isola d'Ischia. Il 20 agosto 2006 sono giunte ad Aci Sant'Antonio.
Nell'anno 2014 le reliquie di sant'Antonio Abate giungono a Sutri (VT) nel giorno della vigilia della festività del santo 16 gennaio. L'Amministrazione Comunale, il Vescovo della Diocesi S.E. Rev. Mons. Romano Rossi, ma soprattutto, le due società di sant'Antonio: l'Antica e la Nuova sono state le fautrici del grande avvenimento culturale e religioso. Le reliquie sono state portate in processione dai soci delle due Società per ben due volte e poi ricollocate nella Chiesa Cattedrale di S.Maria Assunta in cielo. Osservate e venerate in turni H24 dai soci delle due Società che hanno permesso ai cittadini di Sutri, a quelli della diocesi e oltre di di pregare davanti alle spoglie di sant'Antonio Abate. Grande è stata l'affluenza di fedeli e palese è stata l'emozione dimostrata dagli abitanti di Sutri nel custodire sant'Antonio tanto da far registrare un record nella presenza di cavalli e cavalieri il giorno della festa il 17 gennaio. La mattina di Sabato 24 gennaio, le reliquie, dopo 10 giorni di sosta a Sutri, partono per essere ricollocate ad Arles.

Fonte: Wikipedia